sabato 4 settembre 2010

8 ½

Mamma mia, da dove cominciare.
Regia di Federico Fellini, "8 1/2" è l'autobiografico capolavoro del '73 che segna la svolta e il punto di rottura dai codici cinematografici di sempre.
Considerato il primo film visionario di Fellini, dopo il popolarissimo "La Dolce Vita", racconta di Guido Anselmi (interpretato dal grandissimo Marcello Mastroianni), un regista in piena ed irreversibile crisi artistica che, in procinto di realizzare il suo prossimo film, si sente irrimediabilmente "affogare" e precipitare in un abisso senza fine.
Federico
Mastroianni è così l'alter ego di un Fellini che si ritrova braccato non solo dalla stampa, dai recensori, i giornalisti e il produttore, ma soprattutto da se stesso, dai suoi "fantasmi" passati e presenti (non intesi come morti - non tutti almeno) che tra una scena di vita reale e l'altra, si insinuano come soffi di vento nella sua mente tormentata.
Ci sono tutti: i genitori morti, la moglie tradita a ripetizione (interpretata dalla francese attrice Anouk Aimèe), la tenera e svampita amante Carla (Sandra Milo), la casa di campagna della nonna romagnola, la prostituta che veniva pagata da lui stesso e dai suoi amici per muovere i fianchi in balletti baccanalici sulla spiaggia di Rimini, il riformatorio cattolico, c'è la Chiesa, c'è la morale; insomma c'è tutta la vita rappresentata sulla pellicola che ora blocca il regista in una morsa da cui egli stenta a liberarsi.
Tutti aspettano con trepidante attesa l'inizio del capovaloro del cineasta, con aspettative che mettono decisamente a disagio l'estro creativo che rimane così cristallizzato in demoni, paure e vie d'evasione.
Non esiste copione, non esistono costumi, sceneggiaura, schizzi. Solo l'opprimente angoscia da cui cerca di fuggire Guido, così reale, così tangibile da prendere forma davanti allo schermo.
Gas e sangue
Immagine emblematica secondo la mia opinione, è quella iniziale, onirica, in cui Guido è nella sua macchina bloccato in un fiume di altri mezzi immobili; asfissiato da un gas misterioso che lo fa soffocare, tenta in tutti i modi di uscire dalla macchina sotto gli occhi vuoti degli altri passeggeri che lo guardano in maniera alienata. Immagine che poi verrà "spiegata" a parole (nel limite di quanto Fellini riesca a spiegare con parole, e non con immagini e visioni, i suoi film), sempre in una scena, tra il regista Guido e la sua attrice-musa protagonista Claudia (Claudia Cardinale) che le chiede di cosa parla il suo film.
Questa scena secondo me è molto rappresentativa del carattere autobiografico di "8 1/2".

Il film si snocciola facendosi strada tra incontri che Guido fa con le donne della sua vita, donne che in maniera più o meno celata, stanno chiedendo all'uomo di cambiare o di svelare veramente che uomo sia : ognuno dice a suo modo "chi sei veramente?", tutti si aspettano qualcosa da lui, in modi diversi, tutti chiedono "dacci qualcosa", tanto da arrivare allo smembramento della sua persona e allo smarrimento inquietante e completo di quello che di vero e virginale esiste ancora in Guido (se esiste ancora).
Ma come è possibile parlare dell'incapacità di comunicare? Come è possibile dare qualcosa che non si ha, che si è irrimediabilmente perso?
Falso
A partire dalla moglie che lo accusa (se di accusa si può parlare, il comportamento della donna è più di matura rassegnazione) di "mentire come respirare", di riuscire a vivere in maniera autentica solo attraverso i suoi film, solo attraverso il respiro dei suoi interpreti, e di essere in maniera assolutamente falsa al di fuori del suo "teatrino".
Guido:"Ammettiamo che sei la purezza, che sei la spontaneità. Ma che diavolo vuol dire essere proprio sinceri?"
Da qui parte la crisi dell'artista che si interroga su chi è veramente, dove finisce Cinecittà e dove inizia Guido, del perchè c'è questa difficoltà a raccontarsi.
L'attrice-musa Claudia nella scena di cui parlavo sopra, vuole allora sapere di cosa tratta il film, ed è qui che finalmente il protagonista si (auto)confessa:" Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola ed essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto e che diventi tutto proprio perché la tua fedeltà che la fa' diventare infinita... Ne saresti capace? Ecco ascolta se io ti dicessi, Claudia (...) questo tipo no, non è capace. Questo vuole prendere tutto, arraffare tutto, non sa rinunciare a niente; cambia strada ogni giorno perché ha paura di perdere quella giusta, e sta morendo, come dissanguato"

Claudia: "E così finisce il film?"


Guido: "No comincia così"
 
Attraverso un viaggio visionario, Guido-Fellini scende negli abissi della sua memoria per esorcizzare, non senza dolore e tormento, uno ad uno dei suoi "fantasmi" interiori (ripeto, non si tratta di veri e propri fantasmi, e non si tratta neanche di figure in senso maligno) che fanno parte della sua indole a sua volta tormentata di uomo d'arte.
Raccontando in maniera magnifica questa lotta tra un uomo e la sua arte, Fellini ci mostra in maniera toccante ,con una tenerezza e ingenuità commovente (almeno, a mio parere) il rapporto con quello che c'è di più importante nella sua vita: dall'incapacità di fare capire quanto veramente si ami una persona, dal bisogno di essere trattato come un uomo, di essere rassicurato dalla madre, dal ricordo della spensieratezza, dal bisogno di conferme nella fede.
Una discesa buia, ma alla fine, catartica.
 


"Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com'è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire... Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l'unico modo per tentare di trovarci."


Grazie, R.

giovedì 2 settembre 2010

QUO VADIS, BABY?


Trama
Il noir, tratto dal romanzo di Grazia Verasano, è firmato dal regista italiano Gabriele Salvatores (per intenderci quello di "Io non ho paura", "Nirvana", il recente "Happy Family").
Dodicesimo lungometraggio, narra di Giorgia Cantini, una investigatrice privata di Bologna, che lavora nella ditta di famiglia del padre, a piatti ed insipidi lavori commissionati da clienti vendicativi che vogliono scoprire il tradimento del partner; finchè un giorno, nel suo ufficio le vengono recapitate delle cassette registrate 16 anni fa dalla sorella minore, suicida.
Ada infatti, 16 anni prima, si trasferisce da Bologna a Roma per inseguire i suoi sogni. Tra un provino andato male, una proposta indecente da parte del produttore e lezioni di recitazione e dizione, la ragazza si racconta davanti ad una piccola videocamera.

Il trasferimento allontana le due sorelle, da sempre molto unite: non una chiamata, un incontro, appuntamenti mancati, tutto questo per reticenza da parte di Ada, nel rendere partecipe la sorella della sua vita decadente, spoglia, ricca di tanti sogni vuoti, che fino ad ora non sono stati trasformati in realtà.
Sarà il padre che, esasperato, decide di riportare a casa la figlia; scopre invece, una volta entrato nell'appartamento, che Ada si è impiccata.
Giorgia
Ha fatto della "ricerca della verità" il suo lavoro,che vive con estrema diligenza e professionalità ma che le provoca turbamenti e violenze interiori ,anche per quanto riguarda il suo (assente) rapporto col padre-capo.
L'incoscienza e l'apatia che hanno accompagnato da anni Giorgia, vengono violentemente spazzati via da queste cassette che sembrano venire direttamente dall'inferno: Giorgia prova una profonda rabbia repressa e avversione verso i nastri. Probabilmente ci erano voluti molti anni per costruirsi una vita "mediocramente" tranquilla che riuscisse a placare il vuoto.
Il risentimento verso la scostante Ada, che si ostinava a non incontrarla, a non rispondere alle telefonate, non bruciava più da tanto, finalmente; la rabbia verso il padre che non era riuscito a riportare a casa la figlia, a salvarla dal suicidio, era magistralmente nascosto e zittito nel profondo.
E' il "compito" di ciascun essere umano: quello di imparare a convivere con in demoni, a fingere, a nascondere i tagli dell'anima.
Il passato sopraggiunge però, mandando tutto all'aria, costringono Giorgia a rivedere tutta la sua vita.
Da qui, la protagonista partirà per Roma. (Il film è infatti girato tra i portici bolognesi e Roma.)
Viaggio
E narra del viaggio (vero e proprio ma anche e soprattutto interiore) che Giorgia si trova a dover compiere per scoprire la ragione del suicidio taciuto della sorella.
L'arrivo del pacco pieno di cassette, la risucchia in un film (vero e proprio, il "corto amatoriale" di sua sorella), a cui credeva aver messo la parola fine, ma che rivivrà all'infinito, in un loop che Giorgia non riuscirà più a controllare.
La visione del film (quello vero ora, quello di Salvatores) per me, è stata frustrante perchè lo spettatore è costretto, insieme alla protagonista, a rincorrere con tutte le forze una verità che si ostina a sfuggire; in questa visione pessimistica è come se più alto è l'affanno e il desiderio di verità, più questa diventi oscura, sfuggevole e vanamente inquitante.
Fino all'ultimo si rivela una ricerca inutile, vuota, sfibrante che sembra non condurre a nessuna meta.
Giorgia, che prima decide di sua spontanea volontà di intraprendere il viaggio, si ritrova presto in trappola del suo stesso desiderio, un desiderio che la tormenta, la ossessiona e la acceca.
Fino alla fine.
Relatività
Ma è così indispensabile la verità? E' vitale? Non ci sono situazioni in cui, costruirsi una difesa (più o meno credibile), leni i tagli dell'anima?
E' la domanda che Giorgia vive dentro di se.
Il finale del film racchiude il quesito in una sequenza scioccante, (che non vi rivelerò).
Metacinema
Giorgia, impersonifica in sè, una dicotomia affascinante: la scomparsa misteriosa della sorella la spinge, come detto prima a diventare investigatrice privata, come modo per espiare continuamente, lungo tutto il corso della sua vita, la colpa per non essere riuscita a scoprire la verità, e per averci "rinunciato".
All'opposto, odia il cinema, non guarda film, nè li noleggia: è Lui l'assassino? E' stato il Cinema con le sue promesse scintillanti a strapparle la sorella?
Il paradosso è forse che, in un certo senso, è proprio un film, che le fa scoprire ciò che le servirà per risalire l'abisso in cui stava annegando. Infatti, "Quo vadis, baby?" è una frase pronunciata dal protagonista maschile a quella femminile, nel film "Ultimo tango a Parigi", pellicola che Giorgia vedrà distrattamente.
E quindi, concludo con una mia riflessione personalissima e proprio per questo forse poco condivisibile: ci troviamo di fronte ad un cinema, che oltre a parlare di verità, parla di cinema, con elementi che continuamente riprendono se stesso, dai nastri di Ada, al riferimento a "Ultimo Tango" (c'è tra l'altro, un altro film biblico sull'impero romano che si chiama "Quo vadis" ), al Cinema di Cinecittà, al cinema che salva e che condanna - metacinema. 

Grazie, R.