sabato 4 settembre 2010

8 ½

Mamma mia, da dove cominciare.
Regia di Federico Fellini, "8 1/2" è l'autobiografico capolavoro del '73 che segna la svolta e il punto di rottura dai codici cinematografici di sempre.
Considerato il primo film visionario di Fellini, dopo il popolarissimo "La Dolce Vita", racconta di Guido Anselmi (interpretato dal grandissimo Marcello Mastroianni), un regista in piena ed irreversibile crisi artistica che, in procinto di realizzare il suo prossimo film, si sente irrimediabilmente "affogare" e precipitare in un abisso senza fine.
Federico
Mastroianni è così l'alter ego di un Fellini che si ritrova braccato non solo dalla stampa, dai recensori, i giornalisti e il produttore, ma soprattutto da se stesso, dai suoi "fantasmi" passati e presenti (non intesi come morti - non tutti almeno) che tra una scena di vita reale e l'altra, si insinuano come soffi di vento nella sua mente tormentata.
Ci sono tutti: i genitori morti, la moglie tradita a ripetizione (interpretata dalla francese attrice Anouk Aimèe), la tenera e svampita amante Carla (Sandra Milo), la casa di campagna della nonna romagnola, la prostituta che veniva pagata da lui stesso e dai suoi amici per muovere i fianchi in balletti baccanalici sulla spiaggia di Rimini, il riformatorio cattolico, c'è la Chiesa, c'è la morale; insomma c'è tutta la vita rappresentata sulla pellicola che ora blocca il regista in una morsa da cui egli stenta a liberarsi.
Tutti aspettano con trepidante attesa l'inizio del capovaloro del cineasta, con aspettative che mettono decisamente a disagio l'estro creativo che rimane così cristallizzato in demoni, paure e vie d'evasione.
Non esiste copione, non esistono costumi, sceneggiaura, schizzi. Solo l'opprimente angoscia da cui cerca di fuggire Guido, così reale, così tangibile da prendere forma davanti allo schermo.
Gas e sangue
Immagine emblematica secondo la mia opinione, è quella iniziale, onirica, in cui Guido è nella sua macchina bloccato in un fiume di altri mezzi immobili; asfissiato da un gas misterioso che lo fa soffocare, tenta in tutti i modi di uscire dalla macchina sotto gli occhi vuoti degli altri passeggeri che lo guardano in maniera alienata. Immagine che poi verrà "spiegata" a parole (nel limite di quanto Fellini riesca a spiegare con parole, e non con immagini e visioni, i suoi film), sempre in una scena, tra il regista Guido e la sua attrice-musa protagonista Claudia (Claudia Cardinale) che le chiede di cosa parla il suo film.
Questa scena secondo me è molto rappresentativa del carattere autobiografico di "8 1/2".

Il film si snocciola facendosi strada tra incontri che Guido fa con le donne della sua vita, donne che in maniera più o meno celata, stanno chiedendo all'uomo di cambiare o di svelare veramente che uomo sia : ognuno dice a suo modo "chi sei veramente?", tutti si aspettano qualcosa da lui, in modi diversi, tutti chiedono "dacci qualcosa", tanto da arrivare allo smembramento della sua persona e allo smarrimento inquietante e completo di quello che di vero e virginale esiste ancora in Guido (se esiste ancora).
Ma come è possibile parlare dell'incapacità di comunicare? Come è possibile dare qualcosa che non si ha, che si è irrimediabilmente perso?
Falso
A partire dalla moglie che lo accusa (se di accusa si può parlare, il comportamento della donna è più di matura rassegnazione) di "mentire come respirare", di riuscire a vivere in maniera autentica solo attraverso i suoi film, solo attraverso il respiro dei suoi interpreti, e di essere in maniera assolutamente falsa al di fuori del suo "teatrino".
Guido:"Ammettiamo che sei la purezza, che sei la spontaneità. Ma che diavolo vuol dire essere proprio sinceri?"
Da qui parte la crisi dell'artista che si interroga su chi è veramente, dove finisce Cinecittà e dove inizia Guido, del perchè c'è questa difficoltà a raccontarsi.
L'attrice-musa Claudia nella scena di cui parlavo sopra, vuole allora sapere di cosa tratta il film, ed è qui che finalmente il protagonista si (auto)confessa:" Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola ed essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto e che diventi tutto proprio perché la tua fedeltà che la fa' diventare infinita... Ne saresti capace? Ecco ascolta se io ti dicessi, Claudia (...) questo tipo no, non è capace. Questo vuole prendere tutto, arraffare tutto, non sa rinunciare a niente; cambia strada ogni giorno perché ha paura di perdere quella giusta, e sta morendo, come dissanguato"

Claudia: "E così finisce il film?"


Guido: "No comincia così"
 
Attraverso un viaggio visionario, Guido-Fellini scende negli abissi della sua memoria per esorcizzare, non senza dolore e tormento, uno ad uno dei suoi "fantasmi" interiori (ripeto, non si tratta di veri e propri fantasmi, e non si tratta neanche di figure in senso maligno) che fanno parte della sua indole a sua volta tormentata di uomo d'arte.
Raccontando in maniera magnifica questa lotta tra un uomo e la sua arte, Fellini ci mostra in maniera toccante ,con una tenerezza e ingenuità commovente (almeno, a mio parere) il rapporto con quello che c'è di più importante nella sua vita: dall'incapacità di fare capire quanto veramente si ami una persona, dal bisogno di essere trattato come un uomo, di essere rassicurato dalla madre, dal ricordo della spensieratezza, dal bisogno di conferme nella fede.
Una discesa buia, ma alla fine, catartica.
 


"Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com'è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire... Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l'unico modo per tentare di trovarci."


Grazie, R.

giovedì 2 settembre 2010

QUO VADIS, BABY?


Trama
Il noir, tratto dal romanzo di Grazia Verasano, è firmato dal regista italiano Gabriele Salvatores (per intenderci quello di "Io non ho paura", "Nirvana", il recente "Happy Family").
Dodicesimo lungometraggio, narra di Giorgia Cantini, una investigatrice privata di Bologna, che lavora nella ditta di famiglia del padre, a piatti ed insipidi lavori commissionati da clienti vendicativi che vogliono scoprire il tradimento del partner; finchè un giorno, nel suo ufficio le vengono recapitate delle cassette registrate 16 anni fa dalla sorella minore, suicida.
Ada infatti, 16 anni prima, si trasferisce da Bologna a Roma per inseguire i suoi sogni. Tra un provino andato male, una proposta indecente da parte del produttore e lezioni di recitazione e dizione, la ragazza si racconta davanti ad una piccola videocamera.

Il trasferimento allontana le due sorelle, da sempre molto unite: non una chiamata, un incontro, appuntamenti mancati, tutto questo per reticenza da parte di Ada, nel rendere partecipe la sorella della sua vita decadente, spoglia, ricca di tanti sogni vuoti, che fino ad ora non sono stati trasformati in realtà.
Sarà il padre che, esasperato, decide di riportare a casa la figlia; scopre invece, una volta entrato nell'appartamento, che Ada si è impiccata.
Giorgia
Ha fatto della "ricerca della verità" il suo lavoro,che vive con estrema diligenza e professionalità ma che le provoca turbamenti e violenze interiori ,anche per quanto riguarda il suo (assente) rapporto col padre-capo.
L'incoscienza e l'apatia che hanno accompagnato da anni Giorgia, vengono violentemente spazzati via da queste cassette che sembrano venire direttamente dall'inferno: Giorgia prova una profonda rabbia repressa e avversione verso i nastri. Probabilmente ci erano voluti molti anni per costruirsi una vita "mediocramente" tranquilla che riuscisse a placare il vuoto.
Il risentimento verso la scostante Ada, che si ostinava a non incontrarla, a non rispondere alle telefonate, non bruciava più da tanto, finalmente; la rabbia verso il padre che non era riuscito a riportare a casa la figlia, a salvarla dal suicidio, era magistralmente nascosto e zittito nel profondo.
E' il "compito" di ciascun essere umano: quello di imparare a convivere con in demoni, a fingere, a nascondere i tagli dell'anima.
Il passato sopraggiunge però, mandando tutto all'aria, costringono Giorgia a rivedere tutta la sua vita.
Da qui, la protagonista partirà per Roma. (Il film è infatti girato tra i portici bolognesi e Roma.)
Viaggio
E narra del viaggio (vero e proprio ma anche e soprattutto interiore) che Giorgia si trova a dover compiere per scoprire la ragione del suicidio taciuto della sorella.
L'arrivo del pacco pieno di cassette, la risucchia in un film (vero e proprio, il "corto amatoriale" di sua sorella), a cui credeva aver messo la parola fine, ma che rivivrà all'infinito, in un loop che Giorgia non riuscirà più a controllare.
La visione del film (quello vero ora, quello di Salvatores) per me, è stata frustrante perchè lo spettatore è costretto, insieme alla protagonista, a rincorrere con tutte le forze una verità che si ostina a sfuggire; in questa visione pessimistica è come se più alto è l'affanno e il desiderio di verità, più questa diventi oscura, sfuggevole e vanamente inquitante.
Fino all'ultimo si rivela una ricerca inutile, vuota, sfibrante che sembra non condurre a nessuna meta.
Giorgia, che prima decide di sua spontanea volontà di intraprendere il viaggio, si ritrova presto in trappola del suo stesso desiderio, un desiderio che la tormenta, la ossessiona e la acceca.
Fino alla fine.
Relatività
Ma è così indispensabile la verità? E' vitale? Non ci sono situazioni in cui, costruirsi una difesa (più o meno credibile), leni i tagli dell'anima?
E' la domanda che Giorgia vive dentro di se.
Il finale del film racchiude il quesito in una sequenza scioccante, (che non vi rivelerò).
Metacinema
Giorgia, impersonifica in sè, una dicotomia affascinante: la scomparsa misteriosa della sorella la spinge, come detto prima a diventare investigatrice privata, come modo per espiare continuamente, lungo tutto il corso della sua vita, la colpa per non essere riuscita a scoprire la verità, e per averci "rinunciato".
All'opposto, odia il cinema, non guarda film, nè li noleggia: è Lui l'assassino? E' stato il Cinema con le sue promesse scintillanti a strapparle la sorella?
Il paradosso è forse che, in un certo senso, è proprio un film, che le fa scoprire ciò che le servirà per risalire l'abisso in cui stava annegando. Infatti, "Quo vadis, baby?" è una frase pronunciata dal protagonista maschile a quella femminile, nel film "Ultimo tango a Parigi", pellicola che Giorgia vedrà distrattamente.
E quindi, concludo con una mia riflessione personalissima e proprio per questo forse poco condivisibile: ci troviamo di fronte ad un cinema, che oltre a parlare di verità, parla di cinema, con elementi che continuamente riprendono se stesso, dai nastri di Ada, al riferimento a "Ultimo Tango" (c'è tra l'altro, un altro film biblico sull'impero romano che si chiama "Quo vadis" ), al Cinema di Cinecittà, al cinema che salva e che condanna - metacinema. 

Grazie, R.

martedì 31 agosto 2010

LOVELY BONES - AMABILI RESTI

Trama
"Lovely Bones" (scusatemi, io utilizzerò, quando posso, i titoli in lingua originale, perchè molte volte le traduzioni rovinano tutto) è un film thriller-drammatico-fantasy (non sto scherzando), che tratta dell'omicidio con stupro, della giovane Susie Salomon.
La ragazza, una volta resasi conto di essere "morta", oppone resistenza nel raggiungere il Cielo, come lo chiama lei, e resta in quel limbo che "non è più ciò che era, e che non è ancora ciò che sarà" perchè sa che i suoi cari, in particolare il padre (e che padre, trattasi di Mark Wahlberg) riescono ancora, in qualche modo ad avvertire la sua presenza.
La ragazza "comunica" (che poi, di comunicazione non si tratta, in quanto non c'è mai una versa parola scambiata tra figlia e padre, dopo la morte di lei) attraverso delle "interfacce" che mettono in contatto i due mondi, e da queste interfacce assiste a come scorre lentamente il mondo (terreno) da quando lei non ne fa più parte.
Restando "sospesa" metaforicamente in questa zona franca, Susie segue tutte le vicende terrene, comprese quelle del suo assassino e da qui prendo spunto dalla mia prima riflessione.
Immobile
La ragazza assiste, tra le altre cose, a tutte le mosse e tutti i pensieri nascosti del suo assassino, impara a conoscerlo, e cosa più agghiacciante (dal mio punto di vista), sviscera anatomicamente cosa lo spinge ad uccidere, descrivendone gli impulsi e assistendo inerme ai minuziosi preparativi per la prossima vittima (ci sarà una prossima vittima?).
La cosa secondo me sconcertante è l'impossibilità di Susie all'azione: lei assiste a tutto ciò senza poter fare niente, l'unica cosa che riesce e può fare è prendere atto.
Il film, non so se è voluto, è permeato per tutto il tempo da una sensazione di estrema impotenza (che a me personalmente ha dato molto fastidio) sia da parte della protagonista, sia dai membri della famiglia, immobilizzati dallo sconcerto e dall'apatia, dal non riuscire a scoprire chi ha ucciso la figlia.
La madre che, sopraffatta dal dolore, si trasferisce in un' altra città per andare a raccogliere frutta! (ma dico, scherziamo?); la sorella minore che marca stretta la casa dell'assassino senza fare assolutamente niente, se non alla fine (ma che tanto, lo vedrete, non servirà a niente comunque); il padre che, dopo mesi di trance assoluto, ne esce e decide di dare fondo a tutti gli archivi della polizia per farsi giustizia da solo (quando invece l'assassino è il vicino di casa - dimanime, lo sanno tutti che l'assassino è sempre il vicino di casa!).
Insomma una scelta, forse, di mood che è riflesso di ciò che ora sente Susie: l'impotenza, la rabbia, il desiderio di vendetta che si schianta contro il nulla, la frustrazione, sensazioni rappresentate bene da un' immagine del film in cui la ragazza urla con tutte le sue forze e nessuno la sente.

Estetica
Parlando quindi di immagini, devo dire che l'estetica mi è piaciuta molto, forse molto in stile Tim Burton (l' accesso al Cielo, è un albero identico a quello della copertina di Big Fish), con questi "non-sense" estetici, di accostamenti di paesaggi improbabili che aiutano la storia e rendono bene l'assurdità del luogo in cui si ritrova intrappolata Susie: non più terreno, non ancora celeste.
Grande impatto scenico, secondo me, sono due scene: la prima nella quale la ragazza non sa ancora di essere stata uccisa, e la speranza la porta a scappare dal luogo del delitto. Nella corsa disperata, incrocia una ragazza della sua scuola che la "vede", Susie la supera, e poi si gira a guardarla.
La seconda scena è subito dopo, quando Susie, dopo la corsa, si precipita in casa per cercare i suoi genitori, che non vede; sente solo voci lontane e indistinte della madre che parla con un agente di polizia; entra in bagno e la visione è di impatto. Con un gioco di inquadrature che proprio non riesco a spiegare, vediamo la stanza immersa in una luce innaturale, al centro della stanza una vasca da bagno, piena, con dentro un uomo, a gambe flesse, aperte, appoggiate ai bordi della vasca, e il viso coperto da un panno sporco. La telecamera riprende il tutto dal basso, il chè da all'uomo un' apparenza di gigante informe, e triplica l'angoscia che ti prende la gola (perchè sino a quel momento neanche tu, spettatore, sai bene se Suie è viva o morta).
Tutto intorno, pavimento, vasca è sporco di fango e sangue, il lavandino è pieno di sangue e sul bordo è appoggiata una lama curva.
Poi l'uomo si toglie il panno ed è qui che l'assassino ora ha un volto ed è qui, soprattutto, che Susie capisce di essere stata uccisa.

Morto
"Cosa vuol dire Essere Morti?" se lo chiedono continuamente i personaggi del film: chi lo chiede a parole, come la ragazza strana al quasi fidanzato di Susie che le risponde:"Essere morti significa essere freddi, immobili, persi."; e chi invece non lo dice espressamente, ma vive cercando una risposta a questa domanda: Cosa significa essere morti? Solo perchè Susie è persa, vuol dire che è morta? Dobbiamo metterci l'anima in pace? Dobbiamo combattere fino alla fine? E ognuno, ovviamente, si dà la propria risposta. Per la madre essere morti significa evidentemente essere persi, ma non per il padre che continua a sentirla qui, Susie non è persa e quindi non è morta per lui.

Lentamente il bisogno di vendetta, da represso, si placa, Susie capisce che l'importante non è che il suo assassino la paghi (io qui dissentirei ampiamente)ma solamente che le persone a lei care accettino la sua scomparsa e continuino a vivere la loro vita.
La sorella minore, pur riuscendo a trovare le prove della colpevolezza del vicino, decisa a raccontare tutto al padre, rientra in casa e chi si ritrova? La madre che è tornata dai campi di frutta,(tralasciamo), non si può certo rovinare un momento così idilliaco; i genitori, che hanno passato una profonda crisi, sono ora pronti a sostenersi veramente l'un l'altro e a continuare con la loro vita, ora senza Susie; la sorella minore nel frattempo ha trovato l'amore e aspetta un bambino; sono questi gli "amabili resti" che sono restati dopo la morte di Susie: l'amore che ha lasciato ai sui cari e che ha rafforzato i rapporti che sembravano persi, creandone degli altri.
E l'assassino?
Happy ending
L'assassino ha quello che si merita in ogni modo: mentre sta provando ad importunare un' altra ragazzam viene colpito da un pezzo di ghiaccio che si stacca da un albero, perde l'equilibrio sulla neve fresca e precipita da un burrone non solo alto ma pieno di sassi che lo scenografo ha pensato bene di rendere il più aguzzi possibili. Cade per 30 secondi buoni, si spezza svariate ossa e finisce mezzo sepolto nella neve, con un colorito blu-cianotico, ridotto proprio come aveva ridotto le sue vittime, a pezzi, ma soprattuto
freddo
immobile
perso.

Grazie, R.

CREPUSCOLO

Allora, io per iniziare propongo il film che ha fatto discutere molto negli ultimi due o tre anni, e cioè Twilight.
Penso che tutti sappiate di cosa sto parlando per cui tralascio la trama.
Perchè Twilight?
Il mio "perchè" individuale è stato un po il solito: tramortita dai media e dalla pubblicità incessante che ti ingurgita anche e soprattutto contro la tua volontà e coscienza, decisi che era "politicamente corretto" vedere di cosa si trattasse. E qui entra in gioco il secondo nodo:
Film o romanzo?
Io ho iniziato col libro, che ho finito in pochi giorni e non dico cose lontane dal vero affermando che probabilmente, se avessi optato per il film in primis, probabilmente la cosa sarebbe finita li.
Non sto parlando della qualità del film, ma dall' assunto, quasi assioma, che la trasfigurazione di un qualsiasi libro (indipendentemente dalla sua qualità) sul grande schermo, purtroppo ne esca azzoppata, un pò a pezzi.
Quindi, visto che qui di Cinema parlasi, parla(si)amo pure!
Ok, prima che mi si inquadri come una ragazzina in preda agli ormoni, dico subito che: TWILIGHT, ROMANZO/FILM D'EVASIONE.
Ok, ci stà, siamo tutti d'accordo sul dire che non siamo di fronte a massime filosofiche di vita.
Partendo da questo, analizziamo come è nato questo "MOSTRO".
Regia.
La regista è Catherine Hardwicke (http://it.wikipedia.org/wiki/Catherine_Hardwicke), a mio parere una brava, che mette la firma a diversi lungometraggi indipendenti (ricordiamo "Thirteen" la storia di due tredicenni sconvolte dal mondo della droga, degli eccessi e del sesso adolescenziale e non; "Lords of Dogtown" istantanea del mondo skater; "Nativity").
La forma che dà a Twilight, a causa del basso budget, a me piace, a partire dai colori della pellicola e dalle inquadrature mai fisse, dimostrazione del modo di dirigere della Hardwicke: frenetico, senza riposo.
Gli attori.
Gli attori, bhe, si conoscono: l'inglese Robert Pattinson (24) e la californiana Kristen Stewart (20), attori non certo conosciuti per le loro doti recitative. Entrambi giovani, fanno parte lei, di un filone indipendente e/o comunque per piccoli ruoli di grandi film ("Panic Room, "Adventurland", "Into the Wild", "The Runaways"), lui "conosciuto" prevalentemente per avere interpretato la parte nel nobile Cedric Diggory in "Harry Potter e il calice di fuoco", e purtroppo non per altri ruoli molto più spessi a mio modesto parere. Ricordiamo "Little Ashes" in cui interpreta Salvador Dalì e mette in scena la storia omosesessuale con il compagno Federico Garcia Lorca; "How to Be"; "La fiera delle vanità".
Papà Hollywood
Quello che secondo me è degno di nota, non è tanto il film in sè (che può piacere, può fare ridere, può far passare due piacevoli ore di evasione sentimentale) ma soprattutto il fenomeno mondiale di marketing (perchè di questo si tratta) che Hollywood ha creato.
Era inevitabile come respirare, che Hollywood, una volta sentito l'odore da lontano del grande successo potenziale della franchigia, si fosse comportato come è suo solito fare: Hollywood vive di questo, trasformare quello che può in successo, anzi, chiamiamo le cose col proprio nome: dollari.
Ragazzine urlanti= MOLTI DOLLARI.

E da li secondo me ha inizio il degrado. Non dico che il romanzo sia un prodotto di qualità notevole, dico solo che reggeva, se si fosse fermato li ( e ai successivi tre libri), potevamo crederci per una settimana, o per quanto ci mettevate a leggerlo, che in mezzo agli alberi immersi e affogati nella fredda pioggia di Washington, potesse esistere qualcuno di non umano che potesse amarti in una maniere in cui, appunto l'uomo, non è in grado di fare.
Potevamo crederci, come possiamo credere a mostri blu alti due metri che lottano per il loro pianeta Pandora. Di EVASIONE trattasi, tutti ne abbiamo bisogno.
Viagra
E comunque il tema trattato dalla Mayer (Stephanie, la scrittrice) rapisce molte(i), indipendentemente da Hollywood e dal film.
E secondo me sta soprattutto nel fatto di come sta evolvendo la nostra società.
Prendo spunto da un servizio che ho sentito due giorni fa al Tg1: dicevano che l'uomo italiano non è più in grado di corteggiare la sua donna, non sa cosa significhi il romanticismo; io aggiungo che probabilmente non è solo l'uomo italiano.
E' normale, io personalmente, e lo dico sempre a chi mi conosce, penso che il romanticismo si sia estinto alla fine dell' 800. Normale. Le nostre vite sono inglobate dalla Fretta, un mostro che travolge tutti e di cui pochi sono veramente consapevoli. Viviamo nell'era del "Tutto e Subito", del godimento immediato,del Viagra, del Fast-food (e non solo food", del "compro su internet perchè faccio prima", del "prendo l'aereo per fare 300 km, così arrivo subito"; e ci siamo così dentro, che se dobbiamo aspettare 20 minuti dall'estetista, ci sentiamo impazzire.
A me, sinceramente, tralasciando la storia vampiri-sangue-scintillio-supervelocità-superforza ( per queste cose c'è un elenco infinito di capolavori del genere, in primis a mio parere "Nosferatu", per arrivare a film pià recenti "Intervista col vampiro" e pià "attuali o attualizzabili" come "Blade"), ha toccato la lentezza della storia.
E' così lontano dalla nostra realtà che mi ha incantata. Il sentimento è lento, è delicato, ti accarezza piano, poi cammina davanti a te, si gira e si ferma a guardarti, e tu cammini verso di lui, piano, quasi fluttuando.
Twilight ti insegna la bellezza dell'aspettare ( e forse questo deriva dall'influenza mormone della scrittrice), ma non in senso di rapporto sessuale (lo so che ci stavate pensando, sempre per ritornare al discorso del godimento immediato). Non sto parlando di quello, o meglio non solo.
Twilight racconta di come sia straziante e meraviglioso allo stesso tempo, e disarmante e riempiente e potente, tendere la mano verso qualcosa o qualcuno senza mai toccarlo veramente (metaforicamente parlando). E' come un orgasmo infinito, che non si consuma mai, totalmente estraneo alla realtà di oggi, dove TUTTOOGNICOSA finisce nel momento in cui inizia, brucia in un attimo.
Scelta
E poi, per concludere, c'è una tematica che a me sta particolarmente a cuore e con la quale mi piacerebbe concludere con un finale ad effetto: i vampiri descritti non bevono sangue umano, nonostante sia nella loro natura più intrinseca, in un passaggio, il padre di famiglia (quella vampira) dice:"Il fatto di essere nati così, non ci obbliga a non avere le forze per cambiare ed essere migliori".
Tutti abbiamo una possibilità di scelta, non tutti abbiamo la forza e il coraggio.

Grazie, R.